La maggior parte delle persone crede che la felicità derivi dal successo, dalla ricchezza, dalla salute e da relazioni soddisfacenti.
In realtà questi fattori ne
sono la conseguenza non la causa.
Se si è felici si hanno
maggiori probabilità di compiere scelte che porteranno a buoni risultati, non
il contrario.
Infatti molti rimangono
tristi pur avendo ottenuto grandi successi o accumulato immense ricchezze.
Bisogna spostare
l’attenzione dai simboli esteriori del benessere a quella felicità interiore
che tutti desideriamo ma che ci sfugge sempre.
Alcuni esperti sostengono
che la felicità sia un’esperienza fortuita, un’emozione imprevedibile che viene
e va in fretta senza lasciare alcun mutamento permanente nell’individuo che la
sperimenta.
E’ stata elaborata una
“formula della felicità” individuando tre fattori specifici e quantificandoli
in una semplice equazione:
F = P+C+A
Felicità = Punto determinato
biologicamente + Condizioni di vita + Attività volontarie
Il primo fattore, P, ovvero
il “punto determinato biologicamente”, è la base organica che definisce il
grado di felicità naturale dell’individuo.
Le persone scontente hanno
un meccanismo cerebrale che interpreta le varie situazioni come problemi;
quelle felici, invece, valutano le stesse situazioni come opportunità.
Il fenomeno del bicchiere
mezzo vuoto o mezzo pieno ha quindi un’origine cerebrale.
Secondo i ricercatori, il
punto determinato biologicamente contribuisce per il 40% circa all’esperienza
di felicità dell’individuo, e sembra che sia in parte legato al nostro
patrimonio genetico, anche se bisogna tenere conto delle esperienze subite
durante la crescita.
I neuroni del cervello di un
bambino, per esempio, rispecchiano quelli degli adulti che lo circondano.
Sarebbero questi “neuroni specchio” a permettere l’apprendimento di nuovi
comportamenti durante lo sviluppo: per imparare un gesto il bambino può
limitarsi ad osservare e i suoi neuroni specchio reagiscono riflettendo
l’attività osservata.
L’attività cerebrale
prodotta dalla semplice osservazione del gesto fa sì che il piccolo apprenda
nuovi comportamenti senza dover procedere per tentativi ed errori.
Questo modello fornisce una
prima spiegazione biologica di quel fenomeno che è l’empatia, ovvero la
capacità di percepire le emozioni del prossimo.
Non tutti la possiedono, ma
esiste. Il cervello e i geni non sono strutture fisse, ma cambiano ogni momento
e si evolvono costantemente. Ogni esperienza di vita influenza a livello
genetico.
Ogni scelta, compresa quella
di essere felici, stimola il rilascio di determinati segnali chimici a livello
cerebrale, ognuno dei quali contribuisce a plasmare il cervello nel corso degli
anni.
La ricerca ha dimostrato che
il punto determinato biologicamente può essere cambiato da uno dei seguenti
fattori:
Farmaci
e droghe, che hanno un effetto stimolante sull’umore ma
funzionano solo nel breve termine e comportano diversi effetti collaterali.
Terapia
cognitiva, che aiuta l’individuo a mutare le proprie convinzioni
limitanti.
Meditazione,
che condiziona il cervello in diversi modi, tutti positivi. Sedere tranquilli e
guardarsi dentro produce notevoli effetti fisiologici. La meditazione non è una
pratica puramente mistica o religiosa. Oggi si sa che essa attiva la corteccia
prefrontale, sede del pensiero superiore, e stimola il rilascio di
neurotrasmettitori quali dopamina (antidepressivo), serotonina (influenza il tono
dell’umore e l’autostima), ossitocina (ormone del piacere i cui livelli si alzano
con l’eccitazione sessuale) e oppioidi naturali (antidolorifici naturali dell’organismo).
Ognuna di queste sostanze biochimiche è collegata a vari aspetti della felicità.
La meditazione, favorendo la
produzione di questi neurotrasmettitori, è il modo più efficace per spostare il
proprio punto determinato biologicamente. Non esiste farmaco in grado di
stimolare il rilascio contemporaneo di tutte queste sostanze.
Il secondo fattore nelle
formula della felicità è C, ovvero le “condizioni di vita”. Questo fattore
conta però solo per il 7-12%. Se si vincesse alla lotteria all’inizio si
sarebbe euforici. Dopo del tempo si ritornerebbe al livello di base. Dopo circa
5 anni, quasi tutti i vincitori di grandi somme riferiscono che l’esperienza ha
peggiorato la loro vita.
Con il termine “eustress” si
descrive la tensione causata da esperienze intensamente piacevoli. In realtà il
nostro corpo non è in grado di differenziare tra eustress e stress ed entrambi
gli stati possono scatenare reazioni negative. Dipende tutto dalla capacità di
adattamento dell’individuo. Secondo Darwin il fattore più importante per la
sopravvivenza non è né l’intelligenza né la forza, bensì la capacità
adattativa. Anche la “resilienza” (termine usato in psicologia), cioè la
facoltà di riprendersi dopo un evento negativo, è fra gli elementi che
contraddistinguono chi campa fino a cent’anni.
Quasi il 50% della formula
della felicità dipende dal terzo fattore, ossia A, le “attività volontarie”,
cioè la cosa che si sceglie di fare giorno per giorno. Le scelte che promuovono
l’espressione creativa o la felicità altrui permettono di accedere a un livello
più profondo del sé. Secondo gli studiosi, rendere felice il prossimo è la scorciatoia
per raggiungere la felicità; allo stesso modo, dedicarsi all’espressione creativa
genera risultati positivi le cui conseguenze possono durare una vita intera.
Solo il terzo fattore A (le attività
volontarie) penetra nella vita interiore dell’individuo, aprendo la porta dell’unico
luogo in cui si può trovare il segreto della felicità.
(Liberamente tratto da “Le sette
chiavi della felicità” di Deepak Chopra)
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